Correre più veloce del destino: “Non dirmi che hai paura”

«Grande come il mare è la mia voglia di andare. La corsa è il mio mare.» Sembra quasi un avvertimento del triste destino della

protagonista Saamiya Yusuf Omar, giovane ragazza somala con la grande passione per la corsa, che Giuseppe Catozzella, autore del romanzo Non dirmi che hai paura (Feltrinelli, 2015), vuole darci nelle prime pagine del libro. Un romanzo che ha una voce. Una voce potente, onesta, tenace. È la voce della piccola guerriera Samia nata e cresciuta nella città di Mogadiscio, teatro di conflitti tra fazioni politiche fin da quando è nata («La guerra è la nostra sorella maggiore […]. Una sorella cattiva, ma pur sempre qualcuno che ti conosce alla perfezione, che sa benissimo quanto è facile farti felice o triste» p. 11).

Nonostante la guerra che lacera la Somalia, Samia ha la forza di coltivare il suo sogno di correre sempre più veloce e di diventare una campionessa. Samia ne è sicura. E con lei lo sono anche Alì, l’amico fraterno di una vita, nato a tre giorni di distanza da Samia e cresciuto con il padre e il fratello nella sua stessa casa, insieme ai genitori di Samia, alla sorella Hodan e agli altri fratelli. Una grande famiglia che comprende i due clan in guerra fin dal 1991, i darod e gli abgal.

Nutrita del supporto dei suoi familiari, Samia corre. Corre anche quando la guerra diventa sempre più violenta, da rendere la vita impossibile per Alì e suo padre, costretti a lasciare la casa. Samia corre, anche quando costretta dagli integralisti islamici di Al-Shabaab ad indossare il burqa e a nascondersi dagli sguardi angusti di una popolazione costantemente sorvegliata, in cui le donne atlete non sono ben viste. Samia corre anche quando gli equilibri in casa sua cambiano per sempre. Corre finché non varcherà le porte dei Giochi Olimpici di Pechino del 2008. E corre ancora, quando cercherà di inseguire le Olimpiadi di Londra del 2012.

La storia di Samia è la storia di un sogno tenuto stretto nonostante le difficoltà della vita. Samia deve fare i conti non solo con quanto la guerra le toglie ogni giorno, ma anche col suo talento, che le dà per tutta la sua esistenza la speranza di diventare il simbolo della libertà delle donne islamiche prima, e il desiderio di poter cambiare anche il proprio destino dopo. Il primo punto di svolta è rappresentato dalle sue prime vittorie importanti nei cento e duecento metri in occasione dei campionati nazionali a Hargeysa: Samia si rende conto che il suo sogno sta diventando tangibile, che la sua corsa può rappresentare la sua liberazione.

«Ho messo gli sforzi, gli allenamenti, la devozione, le paure, le frustrazioni che provavo almeno da sette anni. Ho rivisto Mogadiscio come una gabbia da cui finalmente ero riuscita a scappare per correre libera» (p. 100) L’evoluzione dei risultati sportivi di Samia si intreccia inesorabilmente con le atrocità del governo integralista che colpiscono sempre di più la sua vita. Quindi corre più forte, assistita dal comitato olimpico nazionale ma indebolita sempre più dalla povertà e l’impossibilità di accedere a strutture più adeguate e condurre una vita da vera atleta.

Diventata invulnerabile, rabbiosa, inscalfibile, una diciassettenne Samia raggiunge la vetta dello sport internazionale alle Olimpiadi del 2008. È questo il secondo punto di svolta: tutto ciò che finora le era sempre sembrato impossibile (come dormire in un hotel, viaggiare in pullman, indossare la tuta della Somalia) la corsa glielo ha reso possibile.

L’autore dà voce alla protagonista, con un io narrante totalmente immerso nel racconto, presente e vivo. Ci troviamo di fronte ad un ritratto di Samia completo e malinconico, sapendo che Saamiya Yusuf Omar è realmente esistita, che ha davvero raggiunto il sogno di andare alle Olimpiadi di Pechino, e sapendo anche che non ce l’ha fatta nella lunga traversata del Viaggio che l’avrebbe portata in Europa per raggiungere la sorella Hodan, stabilitasi in Finlandia dopo che anche lei era sopravvissuta al Viaggio tortuoso dei migranti africani nel 2007.

Dando voce alla ragazza, la storia assume un ritmo cadenzato: va veloce quando narra gli avvenimenti a Mogadiscio, tra una competizione di Samia e l’altra, per procedere lentamente durante la narrazione delle sue gare, quasi come se l’autore volesse dare il tempo anche al lettore di pregustare le sensazioni di Samia in quel momento della sua vita da atleta, come una boccata d’aria dopo mesi e a volte anni di vita reclusa a correre di nascosto nel buio della notte nello stadio del Cons colmo di segni di proiettili. Dopo il grande salto di Pechino 2008, la narrazione assume un tono ancora più nostalgico per poi prendere i contorni di una vera e propria testimonianza. Acclamata e adorata come simbolo della liberazione, al suo ritorno a Mogadiscio la vita di Samia si complica. Vari eventi la portano a considerare l’idea di lasciare il paese per sempre. La corsa si fa più debole, perché grande è la tristezza nel cuore di Samia, ma rimane lì, viva, non teme più nulla perché «la paura è un lusso della felicità» (p. 146). Saamiya Yusuf Omar alle Olimpiadi di Pechino 2008.

Non dirmi che hai paura è il mantra che migliaia di vite al limite hanno dovuto ripetersi per darsi coraggio nell’affrontare le insidie del Viaggio, il tragitto che attraversa il deserto e il Sudan per terminare in Libia e raggiungere finalmente l’Europa. Le testimonianze raccolte da Giuseppe Catozzella, non solo scrittore ma anche autore di reportage sul Medio Oriente e le migrazioni africane, diventano narrazione avvincente e tragicamente coinvolgente del destino di Samia. Nelle ultime pagine del romanzo si percepisce che ogni atto prepara al successivo, scorgendo nei pensieri di Samia le idee che gradualmente si modellano e che la portano sempre più incontro al suo destino.

Il racconto del Viaggio è un libro a sé. Si ha la sensazione di essere finiti in un’altra storia. L’autore, con chirurgica attenzione nel narrare il susseguirsi degli eventi, sente l’urgenza di raccontare un’altra storia disumana, dopo l’Olocausto, in cui l’uomo, alla ricerca di un riscatto, è ridotto alla follia, perde la sua individualità, il contatto con sé stesso e con la realtà. Come degno rappresentante della cultura letteraria ipermoderna, Catozzella propone una narrazione che cambia la sua stessa natura al suo interno: da memoriale “quasi” autobiografico prende le forme di romanzo d’inchiesta, creando così un “reportage romanzato”. Attraverso l’introspezione della ragazza, ben lontana dal ritratto della sua infanzia a Mogadiscio o dei suoi anni dell’adolescenza quando il sogno della corsa prendeva sempre più forma, assistiamo ad un avvilente testimonianza dei viaggi dei migranti africani verso l’Europa: la freddezza dei trafficanti di esseri umani, l’estorsione di denaro, gli stupri, la fame, la nostalgia, la sensazione che la destinazione del Viaggio sia vicina quanto la morte.

Non dirmi che hai paura è un romanzo necessario, per dare dignità a un’esistenza che si è riscattata solo a metà e che ha lottato con tutte le sue forze per coltivare un talento e inseguire un sogno; per onorare l’umiltà della famiglia di Samia, una delle tante costrette a soccombere alla violenza delle forze islamiche estremiste; per infondere un insegnamento di tenacia e perseveranza di fronte a condizioni di vita estreme. «Non devi mai dire che hai paura, piccola Samia. Mai. Altrimenti le cose di cui hai paura si credono grandi e pensano di poterti vincere.» (p.36) Con questo romanzo sappiamo finalmente che la piccola guerriera Saamiya Yusuf Omar, nella sua corsa più veloce del destino, non ha avuto paura.

Irene Calabrese

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