Bertolucci, poeta di dolore e dolcezza

“Sta venendo sera, rientriamo, è l’ora / di riaccendere le candele”.

E’ un paradosso che a parlare di un poeta si prestino i versi di un altro. Eppure mi sembra così di conservare e condividere l’emozione di una lettura dedicata ad Attilio Bertolucci, chiusa dai versi delicati e affettuosi di Pier Luigi Bacchini. E poi proprio

quel verso di Bacchini si presta alla necessaria spiegazione iniziale di questo articolo.

Fin dal primo giorno in cui ho percorso il corridoio del secondo piano di Italianistica, mentre la prof. Cavalli mi faceva strada verso quello che sarebbe stato il mio studio per una avventura di docente di Giornalismo che mi metteva dubbi e paure, fui conquistato dall’atmosfera di Fabbrica del Sapere (oggi più che mai dovrei dire Officina) che traspariva dalle tante locandine alle pareti che annunciavano, in quei tempi pre-Covid che ci appaiono oggi così lontani, i tanti convegni ed incontri che lì erano stati organizzati, fra giornalismo, editoria e letteratura. Uno di quei manifesti, in particolare, mi conquistò per l’immagine e soprattutto per il titolo: “Sul declinare dell’anno…”, una giornata per Attilio Bertolucci a cento anni dalla nascita. Nacque inconsciamente quel giorno il desiderio di un contenitore web che tenesse traccia di quegli incontri e che restasse a disposizione degli studenti degli anni successivi, anche per tesi o saggi. E ora che Parmasofia sta pian piano ripartendo, proprio come i convegni e le altre iniziative del Dusic, ho pensato che potesse essere interessante anche rivivere alcune di quelle iniziative.

La lunga premessa, di cui mi scuso, era necessaria per spiegare a che cosa serve raccontarvi nel 2022 un libro del 2014 che addirittura mette agli atti un convegno del 2011. Ma questo è ora un discorso più facile da proseguire: l’Università di Parma volle dedicare una giornata di studi al centenario di Attilio Bertolucci, poeta fra i più importanti del nostro Novecento. E gli atti del convegno vennero poi curati da Paolo Bongrani, Paolo Briganti e Giulia Raboni per le edizioni Diabasis.

“Atti del convegno” suona sempre un po’ freddo e burocratico. Ma qui il rigore accademico si mescola nelle pagine con la “grazia” e la “discrezione” (ancora parole di Bacchini) di Bertolucci. C’è tanto calore: nelle citazioni, nelle riflessioni, nelle testimonianze. E c’è ovviamente il grande spessore di una figura di poeta ma anche di critico letterario e cinematografico. Iniziatore di quello che Michele Guerra definisce “l’ecosistema Bertolucci”, portato avanti nel cinema dai figli Bernardo e Giuseppe: ma questa è un’altra storia…

Torniamo invece alla storia nostra, che si apre con le parole di un altro grande e rimpianto personaggio della nostra Cultura: Mario Lavagetto, che di Bertolucci dice che “tutto il suo lavoro si basa sulla percezione dolorosa, e per lui irreparabile, della caducità”. Nella descrizione della natura o degli accadimenti, la poesia di Bertolucci sembra sempre paventare che quelle cose siano “in procinto di non esserci”. E se è notissimo il suo verso della “assenza più acuta presenza”, Lavagetto sottolinea che “reciprocamente la presenza è sempre predisposta all’assenza”. Quasi scontato che proprio da Lavagetto iniziassero le sottolineature delle suggestioni proustiane, ma in chiusura d’intervento colpisce un suo accostamento fra Viaggio d’inverno e “uno dei più stupefacenti e conturbanti racconti di Kafka: La tana).

Gabriella Palli Baroni affronta il tema della “poesia del vero”, non dimenticando un riferimento alla poetica di Giuseppe Verdi, e poi sottolinea l’importanza che ebbero per Bertolucci il cinema e l’arte figurativa, in particolare attraverso il magistero di Roberto Longhi. Marta Rebagliati si sofferma sul sentimento del tempo, che specie nella Camera da letto è stato “connesso all’eterno presente dell’immagine cinematografica”.

La sequenza del convegno è ricchissima di spunti multi disciplinari. Ampio spazio all’amore per il cinema, con i contributi di Roberto Campari (altro recente e doloroso rimpianto per la nostra Cultura) e Michele Guerra, che ricorda anche “quante volte il primogenito Bernardo lo ha in maniera più o meno simbolica ucciso nei suoi film” (e anche Freud viene evocato in qualche intervento).

Il cinema fu per Bertolucci ricerca di emozione, così come la critica letteraria (parole di Giovanni Ronchini) è stata “una sorta di contrappunto alla sua opera poetica, senza che tale esercizio assumesse l’aspetto preciso di una attività ‘professionale’ vera e propria”. Il racconto bertolucciano della prima scoperta, in una libreria veneziana, della Recherche, è già di per sè una pagina coinvolgente.

E negli scritti critici, Paolo Briganti coglie una sconosciuta, curiosa e a sua volta ricchissima parentesi nei tre scritti per la Gazzetta di Parma/Corriere emiliano (come dovette mutarsi durante il fascismo) sotto l’insolito pseudonimo di Brogio. Tre soli articoli: tre “Lettere provinciali”, ma contengono la fotografia di una intera epoca, fatta di caffè letterari, di studi e confronti anche epistolari (pare si riuscisse a vivere anche se i social non erano ancora stati inventati…). E fra le scoperte di Briganti c’è anche – curiosa e interessante – quella di un Bertolucci lettore di libri gialli (Nero “Volfe”, come probabilmente l’autarchia dell’epoca impose di trasformare Nero Wolfe): una “funzione psicotropa”, dice Briganti poi confermato dalle parole delo stesso Bertolucci su quanto i gialli siano “dei meravigliosi tranquillanti”.

Non meno preziose le testimonianze finali di altri due importanti poeti parmigiani, a loro volta poi scomparsi. Se Gian Carlo Artoni riconosce a Bertolucci il ruolo di “generoso caposcuola”, davvero toccante rimane l’omaggio di Pier Luigi Bacchini, che ricorda anzitutto il loro legame di “amicizia e discrezione” e di Attilio descrive “la grazia del suo parlare”. C’è un divertente accenno, a proposito dei tanti incontri in montagna a Casarola, al letame “laetus” e che porta fortuna.

Difficile trattenere la commozione nel rileggere da Bacchini dell’ultima visita, con un abbraccio ed un bacio che svelarono i problemi di salute di Bertolucci ed ebbero il sapore dell’addio. E poi quel componimento inedito che Bacchini aveva dedicato proprio alla morte di Bertolucci. Versi delicatissimi (“con riti gentili / mi hai donato insegnamenti”… “ci siamo dati del tu / dopo più di venticinque anni.”).

Fino agli splendidi versi finali, che mi sembrano adattarsi anche all’opportunità di recuperare e codividere con gli studenti di oggi i frutti di quella Officina del Sapere che sono i Paolotti di via D’Azeglio:

“Sta venendo sera, rientriamo, è l’ora

di riaccendere le candele”.

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