Giornalisti domani? No: oggi o mai più!

Gabriele Balestrazzi

Il vuoto, il silenzio, l’impotenza delle aule, dei corridoi, del chiostro dove nessuno è lì a gustarsi l’azzurro sopra i Paolotti. Ma è soprattutto nel mondo virtuale che si misurano la paura e lo smarrimento: è nei social, dove sono quasi sparite le faccine, i sorrisi, le battute, magari anche le vostre (scusate e passatemi il termine) “cazzate” che prima facevano scuotere la testa e che ora vien quasi da rimpiangere…

Siamo tutti azzoppati e bendati. Ma se certi pensieri personali in fondo si abbinano bene con l’anagrafe, la paura che rende quasi immobile chi è semmai nei giorni del movimento perpetuo, dell’incoscienza e dell’invincibile immortalità fa impressione. Nella consueta navigazione social, ti trovi ogni tanto a vederti scorrere anche i post di studenti che hanno perso la leggerezza, che fino a ieri dovevano già fare i conti con i dubbi sul futuro e ora si trovano a non poter programmare neppure il presente dei giorni e a volte delle ore.

Chi è tornato a casa, chi è rimasto. L’inversione Sud-Nord dettata dal contagio potrebbe far sorridere, e qualche aneddoto non manca, ma sono risate strozzate perchè lasciano subito il posto ai dubbi, quelli veri e senza ancora risposta. Sono e siamo tutti in gabbia.

Le lezioni sono sospese. E senza senso oggi sembrano soprattutto le cattedre, nelle aule chiuse e buie. Siamo diventati docenti del Niente: e del resto che cosa potremmo insegnare se neppure a noi arrivano risposte? Che cosa vi diremmo se neppure gli “esperti” (di un Sapere a sua volta mai univoco e onnisciente) oggi sanno dirci che cosa ci aspetta, non fra un mese ma neppure stasera…?

Eppure siamo i prof. Siamo quelli cui tanti di questi studenti si aggrappano per una scalata che hanno prima affrontato sulla carta geografica e che soprattutto dovranno tentare dopo la laurea, senza sapere ancora dove (perchè da loro “non c’è nulla”, ma anche qui le edicole chiudono e le redazioni studiano come alleggerirsi).

Improvvisamente sembra tutto ancora più nero, però… Però allora come hanno fatto quelli degli anni della guerra, delle bombe? Retorica? No: semmai la forza straordinaria della Storia, della Letteratura, della Filosofia e perfino dello stesso malfermo Giornalismo che proviamo a insegnare. E se non si sono arresi loro in quei tempi, bui davvero, perchè dovremmo farlo noi?

Anzi, per quanto non voluta e sgradita quale occasione è più forte e stimolante di questa per chi vuole essere giornalista? Se la quotidianità è di confusione (e magari di fake news), di dubbi, di comportamenti slegati e spesso egoisti, non è proprio qui che un giornalista può rendersi utile alla comunità in cui vive? Se il vicino si lamenta, se qualcuno non rispetta le regole spiacevoli ma dettate per la salute collettiva, se la mappa del virus riaccende al contrario le mai sopite antipatie Nord/Sud e Sud/Nord, non è qui che il giornalista – e umanista – può e deve contribuire a chiarire, a calmare, a far riflettere?

Non saremo importanti come i virologi o come gli infermieri della prima linea, ma non vediamo quanto oggi un cronista possa essere prezioso? Anche solo con un diario da Parma o da altrove, purchè ci sia poi dentro il messaggio – questo sì speriamo contagioso – di pazientare, di unirsi, di aiutarsi a vicenda come richiede questa inedita e subdola emergenza?

Volete davvero fare i giornalisti? Allora non aspettate domani: è oggi, è davanti a queste paure che potete davvero capire se avete la capacità di parlare agli altri e per gli altri. E’ oggi che, girando per le strade o i negozi deserti, potete raccontare le difficoltà (anche economiche e concretissime) e le fragilità, ma anche le storie e gli esempi – che troppo spesso restano nascosti – di chi non perde la voglia di spendersi per gli altri, di regalare il proprio volontariato e anche solo i propri sorrisi.

Alla fine di questa epidemia, una cosa è certa: non saremo più come prima. Se peggiori o migliori, dipenderà anche da noi giornalisti, dalle gerarchie che daremo alle notizie rispetto alla marmellata senza valore che proponevamo “prima”. Allora alzatevi dal divano, uscite, guardate, fotografate, filmate, ascoltate e poi raccontate.

Se non lo fate oggi, se non ne sentite l’esigenza e l’orgoglio, allora non sarete mai davvero giornalisti domani. E sommergetemi di racconti e di video: così, alla fine di tutto questo, vi scoprirete molto più forti. Buon lavoro !

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