Dante 700 anni dopo: una “vita nuova”

Elisa Rossanino

Ha ancora senso, oggi, leggere e rileggere Dante e quella Commedia che Boccaccio definì, circa 500 anni fa, “divina”?

E’ possibile accostarsi a Dante in maniera diretta, senza farsi intimidire dal suo stare sul piedistallo della nostra cultura: non vederlo insomma solo come il poeta che ha dato vita all’80 per cento delle parole italiane che usiamo e per questo definito il padre della lingua italiana? E neppure come quel genio che nel suo peregrinare come esule ha realizzato un capolavoro che ancora oggi, dopo quasi 700 anni dalla sua morte, celebriamo, analizziamo e studiamo ancora? Ma accostarsi a lui semplicemente come un uomo e prima ancora un bambino che si aggirava tra le macerie della sua amata città, Firenze, dilaniata e semi distrutta dalla continua guerra tra Guelfi e Ghibellini?

In questa nuova visione Dante non sarebbe solo il poeta dell’immaginazione ma dell’attenzione alla realtà del suo tempo: attraverso i suoi occhi riusciamo a percorrere le vie della Firenze del ‘300 e le corti presso le quali troverà ospitalità durante i 20 anni di esilio che lo costringeranno a rimanere lontano dalla sua amata terra.

Sono queste le domande alle quali Marco Martinelli ha provato a rispondere nell’ambito del primo incontro, tenutosi presso il Teatro al Parco a tema “Dante e le Arti” su teatro e teatralità dantesca dialogando con la professoressa Roberta Gandolfi dell’Università di Parma, accompagnato dall’attore Roberto Magnani.

Il  Teatro delle Albe ha infatti realizzato, nell’ambito di Ravenna Festival, coinvolgendo oltre 200 cittadini e cittadine ravennati, due grandiosi spettacoli itineranti, che sono andati in scena per oltre un mese di repliche: Inferno nel giugno del 2017 , Purgatorio nel giugno 2019. Di recente Marco Martinelli ha poi pubblicato il volume Nel nome di Dante. Diventare grandi con la Divina Commedia (Milano, Ponte alle Grazie, 2019), dove propone una rilettura della Commedia facendo dialogare il Due-Trecento con il nostro e il suo tempo storico.

Partendo dagli insegnamenti e dai racconti del padre Vincenzo, Martinelli ci propone le vicende di un uomo geniale ma che al tempo stesso ama, soffre, vive nella solitudine, si impegna politicamente, osserva la sua società della quale giudica e condanna i comportamenti con durezza, ci narra le vicende di colui che si perse nella selva oscura, dei suoi peccati e delle sue paure, ma che non smette mai di sperare nella salvezza sua e dei suoi concittadini, che decide per questo di scendere nel profondo Inferno per purificarsi e ascendere, attraverso le fatiche del Purgatorio, alla luce del Paradiso. Dante, infatti, capisce di dover passare attraverso l’Inferno per arrivare al Paradiso, simbolo della felicità.

Al teatro di Dante, realizzato per le vie di Ravenna, ha partecipato la popolazione creando dei cori che hanno animato la rappresentazione. Si è lavorato ad avvicinare le paure di Dante, le indignazioni del poeta, con realtà e situazioni che possono trovare un analogo nell’oggi, di cui tutti abbiamo fatto esperienza. Il teatro è diventato così il modo per favorire l’incontro tra giovani e i grandi classici. Il teatro delle Albe di Ravenna rilegge i grandi classici come il prodotto di ribelli  scontenti della società in cui vivono, provando così a darne una nuova lettura: da tempo applica questo metodo lavorando capillarmente con gli adolescenti che frequentano le scuole secondarie.

Questo tipo di progetto, realizzato a Ravenna, si inserisce in una tradizione ben più ampia che ha visto il teatro abbracciare i testi del grande poeta in diverse occasioni nella storia.

L’autore della Commedia cammina a fianco all’esperienza teatrale da molto tempo, già nell’800, si poteva assistere alle “Dantate”, dei recital in cui si leggevano i canti di Dante. Più recentemente, nel 1981, il famoso attore Carmelo Bene, in occasione del primo anniversario della strage della stazione di Bologna, ha recitato dalla cima della torre degli Asinelli di Bologna la Lectura Dantis incantando la città.

Il progetto teatrale delle Albe  sviluppato nel 2017 sul testo dell’Inferno e nel 2019 sul testo del Purgatorio  è stato spunto di altre iniziative della compagnia, anche fuori dall’Italia. Marco Martinelli ha lavorato sugli stessi testi anche a Nairobi, in Kenya. I protagonisti di questa progetto sono stati i bambini degli slum di Kibera, parola che in italiano viene tradotta con “selva”, che vivono quotidianamente i drammi dell’Inferno di Dante. Hanno, fin da subito, accolto con entusiasmo ed empatia il viaggio raccontato da quell’uomo che nel 1300 si è improvvisamente perso nella selva oscura, nelle sue sconfitte e nelle sue paure: “…sta per uscire verso il sole e viene bloccato da tre belve. Che cosa gli fanno?” chiede Martinelli. I bambini gli rispondono: “Se lo mangiano”. “No, arriva qualcuno a salvarlo”. “Chiama la sua mamma” continuano i bambini.

Non arriva la sua mamma a salvarlo e lo sappiamo bene tutti, ma è pur vero che non ci si salva mai da soli, ma sempre con qualcun altro. Dante insegna che non è mai possibile salvarsi da soli ma neppure camminare senza guida, per sé sceglie persone fidate e che ammira: Virgilio, Beatrice e infine San Bernardo. In fondo non è esattamente quello che facciamo tutti? Non cerchiamo sempre una mano protesa pronta ad aiutarci?

“Mettere in vita” Dante, oggi,  significa mettere in scena i mali del proprio tempo, i problemi del presente. Nell’Inferno ravennate, ad esempio,  il coro delle Arpie, simbolo del femminile terribile, era stato formato anche da donne anziane e il loro grido era l’eco dei dolori accumulati in tutta la vita. Due anni dopo, nella rappresentazione del Purgatorio, il coro dedicato a Pia de Tolomei è stato composto da donne vittime di violenza che, così come la Pia e in modo ripetuto, sussurravano al pubblico:

“Ricorditi di me, che son la Pia;

Siena mi fé, disfecemi Maremma:

salsi colui che ‘nnanellata pria…”

(Purgatorio, canto V, vv.133-135).

L’arte teatrale viene definita, da Marco Martinelli, come la “Festa dei molti” perché gli esseri umani hanno bisogno che il teatro non sia una forma ma sia una festa durante la quale ogni cittadino vive la stessa ebrezza degli attori. Attori e comunità si mescolano per recuperare l’effervescenza collettiva. In questo contesto il teatro delle Albe ha lavorato su due livelli: in primo luogo sulla realizzazione di uno spettacolo fatto da attori per un pubblico e, in seguito, attraverso la partecipazione della comunità, a un teatro della coralità. Per questa seconda tipologia di rappresentazione sono stati ripresi sia i principi compositivi del teatro di massa, sperimentati nel teatro di Majakovskij ai tempi della rivoluzione sovietica, sia quelli della teatralità medioevale, di tipo processionale e paratattico.

Dante, componendo il suo capolavoro, disegna una intera topografia, così come per realizzare uno spettacolo è fondamentale ideare una drammaturgia degli spazi. Gli spazi entro i quali il poeta si muove sono difficili da definire, è un profugo, un esiliato, un uomo politico che partecipa anche a dei combattimenti, ogni spazio da lui attraversato era saturo di investimento affettivo.  Così l’artista creando una scenografia  deve fare in modo che il suo progetto rispetti il vissuto e tenere conto della componente emotiva del contesto spaziale.

Nel caso della forma teatrale itinerante è necessario interagire con l’architettura e gli spazi urbani. È cosi che la porta dell’ingresso del teatro Rasi di Ravenna si trasforma nella porta dell’Inferno e il suo giardino diventa il monte del Purgatorio, il luogo del “ricominciare”, diventando lo sfondo della cantica in cui si parla la nuova lingua dell’amore dopo tutta l’angoscia dell’Inferno.

Nel 2021, in occasione dell’anniversario della morte di Dante, verrà realizzata a Ravenna, con le stesse modalità, anche la rappresentazione basata sul testo del Paradiso.

Per Martinelli è indubbio che ancora oggi, nel XXI secolo, i testi  di Dante, seppur scritti 700 anni fa, continuano a parlarci dell’oggi e della nostra società. Anche solo perché, certamente per tutti, la speranza è quella di poter finalmente dire, uscendo dal buio dell’Inferno,: “E uscimmo a riveder le stelle”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *