“Perché non Bacchilide?”

Maria Cristina Mazzei, Melania Grelloni, Jepherson Miguel Caccioppoli

“Nella poesia preferiresti essere Pindaro o Bacchilide?

Nella vita preferiresti essere il vincente o il perdente?”         Nel mondo della Grecia antica esisteva una netta contrapposizione tra la parola “anthropos”, il semplice essere umano, e “anèr”, l’uomo virile e dunque valoroso, capace di sostenere le fatiche della vita dimostrando il suo coraggio sul campo di battaglia e negli agoni; questi ultimi si distinguevano dalla massa informe venendo considerati alla stregua di semidei.

Nel frammento sopra citato, tratto dall’anonimo autore Del Sublime (33,5), si svelano i nomi di due poeti, Pindaro e Bacchilide, vissuti tra il VI e V secolo a.C., entrambi scrittori di epinici, vale a dire versi celebrativi composti per la vittoria di un atleta. Gli antichi ritenevano che Pindaro superasse Bacchilide per la sublimità dei suoi versi e l’intensità del linguaggio, giudizio che ha indirettamente influenzato tutta la critica testuale, fino a giungere anche a quella moderna: come in ogni gara, vincitore e vinti esistevano dunque anche tra gli intellettuali-poeti. I lavori encomiastici erano nella maggior parte dei casi eseguiti su commissione e gli artisti incaricati di comporre l’omaggio al vincitore dovevano godere di un rilevante “patrimonio di conoscenze”: spesso non era importante chi tu fossi, di che cosa volessi parlare, di come volessi farlo; tutto ciò che importava era di chi tu fossi amico.

Ma perché parlare solo del primo classificato? E allo stesso modo perché parlare solo dei poeti ufficiali, quelli ritenuti migliori? Attorno a questa riflessione si sviluppa la lezione del professore Christopher Carey che indaga in maniera dettagliata con il suo studio la peculiarità dell’universo bacchilideo. Lo studioso, membro della British Academy (Fba) ed attualmente Professor Emeritus of Greek alolo University College London (UCL), ha partecipato al “Ciclo di incontri sulla poesia greca arcaica” organizzato dall’Università di Parma – Dipartimento di Discipline Umanistiche, Sociali e delle Imprese Culturali, con il patrocino della delegazione di Parma dell’Associazione Italiana di Cultura Classica (referente Prof.ssa Anika Nicolosi). Durante il seminario intitolato “Bacchilydes’ Homer” (https://www.unipr.it/notizie/30-ottobre-seminario-di-christopher-carey-sulla-poesia-greca-arcaica), svoltosi nei giorni scorsi, Carey ha illustrato il suo studio sulla tecnica di Bacchilide mettendo in evidenza non solo la differenza con lo stile narrativo di Pindaro, ma come esso risulti più vicino a quello omerico. Una nuova chiave di lettura critica dei testi, che offre al compositore una possibilità di riscatto nei confronti di un mondo antico che lo ha messo per lungo tempo alla berlina, relegandolo in un ruolo secondario rispetto a un modo di fare poesia più aristocratico. Nei testi di riferimento, che sono stati forniti ai partecipanti del seminario così da poter meglio seguire la lezione in inglese, si osserva la presenza costante e ridondante del mito. Consapevole che sia impossibile prescindere dall’epica, Bacchilide si fa continuatore della poetica omerica e, in una sorta di rapporto di “imitatio”, la rielabora proponendo nuove soluzioni e varianti. In un caso il mito viene trattato in maniera lirica, come nell’epinicio V dove viene raccontato l’incontro tra Eracle e Meleagro, incontro durante il quale Meleagro parla delle circostanze che lo portarono alla morte e concede in sposa ad Eracle la sorella Deianira. Questo incontro, del tutto assente nella tradizione omerica, dimostra l’originalità del poeta nel farsi continuatore del rapporto dell’epos con il mito. Ma è il XIII epinicio, composto per la vittoria Nemea nel pancrazio dell’egineta Pitea (occasione per la quale Pindaro compose la Nemea V), quello che maggiormente mostra un evidente richiamo ad Omero: il mito presente in questo testo equivale, in gran parte, allo sviluppo dell’Iliade con i suoi rinvii al valore di Aiace e alle vicende di Achille. Tuttavia in questo epinicio gli Achei, che risultano momentaneamente sconfitti nel libro XV dell’Iliade (testo di riferimento per Bacchilide nella composizione dell’ode), si immedesimano con i Troiani vincitori e le regole della linearità temporale, tipiche della narrativa omerica, vengono violate attraverso la sovrapposizione di piani temporali differenti.

Giunti al termine dell’incontro, al professor Carey è stato chiesto perché il suo studio si sia basato su Bacchilide e non, invece, su un poeta considerato di maggior rilievo come Pindaro. La risposta è stata rapida ed esaustiva: “La vera domanda è: perché non Bacchilide?”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *