Quel Lessico lontano, eppure “famigliare”

“Quella famiglia non è certo la medietà nazionale: ebraica, con tanti personaggi illustri…”. Già: ma allora perché quel Lessico così lontano, e “famigliare” con quella “g”, è diventato familiare ed amato anche per tanti lettori, oltre che per i critici?

Lo ha spiegato agli studenti del triennio di Lettere  Elisa Gambaro, docente di Letteratura italiana contemporanea all’Università di Milano, ricordando anzitutto che l’autrice – Natalia Ginzburg – nasce come narratrice di racconti in forma breve e concluderà la sua attività con tanto teatro e romanzi epistolari. “Lessico famigliare” si colloca a metà strada tra queste due fasi: esce nel 1963 e abbraccia dagli anni ’20 ai ’50.

Cesare Garboli sottolinea che “è l’opera di Natalia Ginzburg caratterizzata dalla nostalgia del romanzo”. Sono peraltro anni di grande successo per il romanzo italiano: Il Gattopardo è del ’58, i Finzi Contini del ’62, e poi Vita agra, Ragazza di Bube…  Quello della Ginzburg arriva 30 anni dopo un’opera (“Un’assenza”) sicuramente breve ed acerba, ma con in nuce alcune tecniche che diventeranno il perno del Lessico: in particolare la capacità di far comparire un personaggio (in quel caso Anna) attraverso i ricordi del marito Maurizio. E nel 1952, “Tutti i nostri ieri” si potrebbe definire la sua versione del neorealismo.

Qui nel Lessico  il ricordo nasce soprattutto dalle parole, dalle frasi tipiche e dai tic verbali della famiglia dell’autrice. Ed è anche il romanzo della memoria einaudiana: la casa editrice Einaudi fu infatti fondata da Leone Ginzburg, marito di Natalia, insieme a Cesare Pavese, al quale sono dedicate diverse pagine del Lessico. La stessa Natalia fu a sua volta funzionaria tra le più importanti del’Einaudi: e il romanzo termina davvero quando l’autrice lascia Torino per Roma, dove finirà per lasciare anche la stessa Einaudi (“Quella che amavo, era la cassa editrice che s’apriva sul corso Re Umberto”…).

Vale ricordare anche di fronte al Lessico ciò che la Ginzburg scrisse nella prefazione a “Cinque romanzi brevi”: “Volevo che i miei ricordi fossero proiettati in un mondo impersonale e da me distaccato, nel quale non era possibile scorgere traccia di me”. Un modo per sconfiggere anche il timore di essere appiccicaticcia e sentimentale: timore accresciuto in quanto scrittrice, donna.

Timore superato, se già nel 1963 il libro vinse il Premio Strega e raggiunse le 100mila stampe, celebrando così il trentennale dell’Einaudi…

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Scopri di più con il web:  guarda su You Tube questa intervista di Natalia Ginzburg alla trasmissione Rai L’Approdo del 1963

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