Oriente e Occidente, l’opposizione senza tempo: Passaggio in India

Giorgia Persico

«Arco», «Eco» e «Cielo», le chiavi per entrare nel mondo misterioso di Forster. Simboli di «incontro», «oscurità» e «rinascita». Fanno da sfondo alla città di Chandrapore, la cui descrizione è il punto di partenza sia per Forster che

per la professoressa Gioia Angeletti: «non offre nulla di straordinario. Più rasentata che bagnata dal Gange, si trascina per circa due miglia lungo la riva e a stento la si riconosce dai detriti che il fiume deposita con tanta abbondanza. […] Le case crollano, la gente annega ed è lasciata imputridire, ma il profilo generale della città sussiste, qua gonfiandosi, là ritraendosi, come un’infima ma indistruttibile forma di vita.

Nell’entroterra le cose cambiano. C’è un maidan (pianura) ovale e un lungo ospedale giallognolo. Le case degli euroasiatici sorgono sull’altura nei pressi della stazione ferroviaria. Al di là della ferrovia – che corre parallela al fiume – il terreno degrada, poi torna a innalzarsi piuttosto ripido. Su questa seconda altura è sistemato il piccolo centro amministrativo. […] Non incanta e non ripugna. È costruito secondo un piano razionale, con un Circolo di mattoni nudi in cima, e più addietro, una drogheria e un cimitero; i bungalow, poi, sono allineati lungo le strade che si intersecano ad angolo retto. Di disgustoso non c’è niente, e di bello c’è soltanto la vista; con la città, non ha in comune che l’arco del cielo. […] Il cielo regola tutto – non soltanto i climi e le stagioni, ma anche il momento che la terra dev’essere bella. Da sola lei può far poco – appena qualche debole erompere di fiori. Ma quando il cielo lo decide, la gloria può piovere nei bazar di Chandrapore o una benedizione passare da orizzonte a orizzonte. Questo il cielo può fare perché è forte e così enorme. La forza gli viene dal sole, che gliela infonde ogni giorno: l’immensità della terra prostrata. Nessuna montagna frastaglia quella curva. […] Quell’infinita distesa è interrotta soltanto a sud, dove un ammasso di pugni e di dita balza fuori dal suolo. Quei pugni e quelle dita sono i monti di Marabar, che contengono le straordinarie grotte».

Queste sono le parole di Edwuard Morgan Forster contenute nel suo ultimo romanzo Passaggio in India, lette con enfasi dalla docente di letteratura inglese Gioia Angeletti. Un pomeriggio culturale che si inserisce, insieme ai precedenti, nell’ambito della rassegna Letterariamente: incontri di letterature, Libri per l’isola deserta, organizzata dall’Area di Lingue del Dipartimento di Discipline Umanistiche, Sociali e delle Imprese Culturali- DUSIC dell’Università di Parma. Il luogo dell’incontro, ParmaUniversityPoint, fra i resti del vecchio Ponte Romano sembra legarsi a quell’ambiente cupo ed umido delle grotte forsteriane. La professoressa sottolinea come la scelta di rivalutare quel romanzo, cominciato dall’autore nel 1912 ma concluso solo nel 1922, è motivata dall’attualità che in esso è contenuta.

Uno dei temi affrontati è quello della possibile connessione fra due diverse ideologie culturali, quella orientale e quella occidentale. Di quell’oriente misterioso migliaia e migliaia di autori hanno offerto, ai lettori, immagini poetiche e delle volte persino sensuali, come le tele dipinte da Paul Gauguin.  Fascino legato ad un mondo apparentemente non governato da nessuna legge razionale dove le giornate sono scandite dal sorgere e il calare del sole in cui l’arancione predomina il cielo. Quell’irraggiungibile spazio al di sopra di noi per Forster, particolarmente sottolineato dalla prof.   Angeletti, assume «un valore fortemente mistico, un misticismo che non è religione dogmatica ma è visto in senso di spiritualità». «L’abbraccio per tutti senza distinzione di dogma, razza e credo. L’azzurro è quello che predomina su tutto, si impone sulla terra simbolo di umanità quasi a voler significare la debolezza dell’uomo nei confronti dell’immensità». 

«L’arco del cielo» che sovrasta le montagne di Marabar, al loro interno le «straordinarie grotte»: sono il titolo della seconda parte del romanzo, preceduto dalla prima, “Moschea”, e susseguito dalla terza, “Il Tempio”.   «Qui è contenuto uno degli episodi chiave, il climax, che cambierà le relazioni fra i personaggi, nel bene e nel male. Le grotte scure e cupe stanno a significare il bene e il male», spiega la professoressa, i suoi toni cauti ma squillanti creano un ambiente senza barriere, il pubblico è reso partecipe quando vengono letti, di volta in volta, estratti del romanzo. Non può omettere la lunga descrizione che Forster fa delle grotte essendo, ripete, uno dei luoghi principali del racconto.

«Sono grotte buie. Anche quando si aprono verso il sole, pochissima luce penetra lungo la galleria d’entrata fin nella sala circolare. C’è poco da vedere, e nessun occhio che lo veda, finché arriva il visitatore, cinque minuti, e accende un fiammifero. Subito un’altra fiamma si desta nelle profondità della roccia e affiora alla superficie come uno spirito imprigionato: le pareti della sala circolare sono meravigliosamente levigate. Le due fiamme si avvicinano e si affannano per unirsi ma non ci riescono, perché l’una respira aria, l’altra pietra». […] «Il palpito di luce si fa più intenso, le fiamme si toccano, si baciano, spirano. La grotta è tornata buia, come tutte le grotte».

Quella tenebra, descritta dall’autore, rappresenta la cieca razionalità dell’Occidente, vedere o meglio osservare la «vera India» non è possibile; «Adela perde il cannocchiale, si infrange a terra» smarrita è la possibilità di indagare ciò che è aldilà delle proprie convinzioni e ideologie. La donna, sentendosi abbandonata in quel buio, avverte una minaccia alle sue spalle; accuserà Aziz di averla stuprata. Si rafforza, così, il pregiudizio verso l’orientale creduto, a volte, dall’occidentale razionale e presuntuoso, un animale da tenere a bada, ed è in questo senso che quell’uomo sente di intervenire mettendo ordine al caos.

È necessario fare qualche passo indietro e confinare il romanzo dovendo, ahimè, tralasciare pagine di pura poesia. A fare da cornice è l’India, Chandrapore, la città come tutta la Nazione è vittima della potenza coloniale britannica. La terra bagnata dal Gange subì il passo lento e deciso degli ufficiali inglesi per lungo tempo, dal 1757 al 1947, ma quando quel passo diventò frastuono, fu messo a tacere dal pacifismo di Gandhi.

Il quadro della storia ruota intorno a quattro personaggi principali: Mrs. Moore, Miss Adela Quested, Ronny Heaslop e Mr. Cyril Fielding. Le due donne si recano in India per far visita a Ronny, figlio di Moore e presunto futuro marito di Adela. Fra Bazar e fumo di Hookah, le due hanno in comune un desiderio, quello di conoscere l’India e gli Indiani, non è un caso il cognome di Adela; Quest in inglese sta per ricerca e, dunque, conoscenza. Spinte da tanta curiosità iniziano la ricerca del “diverso” e, sarà la donna più anziana, Mrs. Moore, ad avere un primo rapporto con “l’altro”; in una Moschea conoscerà Aziz, medico indiano rappresentate di quel gruppo indiano che, più avanti nella storia, urlerà voglia di indipendenza.

Un successivo tentativo di approccio è offerto dal Bridge-Party, il Party-Ponte che «Non fu un successo. […] la maggior parte degli ospiti indiani […] se ne stavano tutti in gruppo dall’altra parte del campo da tennis senza saper che fare. […] Un gruppetto di signore indiane si era radunato in un terzo punto del parco, vicino a un padiglione rustico nel quale la più timida si era già rifugiata. Le altre, in piedi, dando le spalle alla compagnia, affondavano i visi nella siepe dei cespugli. […] Lo spettacolo era significativo: un’isola lasciata nuda dalla bassa marea, e destinata ad ingrandirsi”.

Il Bridge-Party non è stato un ponte, un muro ha impedito il passaggio di indiani e inglesi, però in quella barriera c’è una fessura, uno spiraglio di luce la penetra; le donne inglesi affascinate dal mistero vengono attratte da Fielding, inglese che, sottolineando la difficoltà di un possibile rapporto con gli indiani, mostra un atteggiamento positivo. L’uomo organizza poi un tea-party presso il college, le signore partecipano, insieme a loro Aziz e il professore di musica Narayan Godbole, un momento «pieno di echi, motivi ricorrenti e leitmotiv derivanti dall’amore che per Forster è sinfonia» ed è in questo contesto che Aziz propone a Moore e Adela la visita alle grotte.

Per tutto il romanzo il messaggio di Forster è pessimista; l’incontro fra le diverse ideologie appare irrealizzabile.  Questa impossibilità la si legge grazie ai continui rimandi simbolici dell’autore che, insieme a Virginia Woolf e T.S.Eliot, si colloca fra i modernisti. Immaginiamo spesso uno scrittore collocandolo soltanto in un determinato periodo storico o in una determinata categoria letteraria, non considerando, delle volte, la sua umanità, l’essere? Forster visse la sua lunga vita nascondendo la propria omosessualità ritenuta ai tempi un reato, ed è forse per questo che i suoi testi trattano di perenni conflitti, come quello di classe in Casa Howard e quello culturale e razziale in Passaggio in India. La rappresentazione dell’India qui fu fortemente criticata, come riporta la professoressa, dallo studioso palestinese Edward Said in Culture and Imperialism. Il critico si espone dicendo che «Forster ha trovato il modo di utilizzare la macchina romanzesca per rielaborare un sistema rappresentativo preesistente senza modificarlo. Tale sistema permette di provare affetto e persino intimità con alcuni indiani e l’India in generale, ma mostra che la politica indiana è in mano e di competenza degli inglesi e si rifiuta di riconoscere un ruolo importante al nazionalismo indiano». Forster in effetti, come sottolinea la docente, dà dell’India un’idea di confusione, luogo fangoso e pieno di mosche, intrappolato in quel caos(muddle) che tuttavia l’autore tramuta in mistero (mistery) nel corso della storia.

Qualsivoglia interpretazione si preferisca dare, l’autore è attento ai valori dell’individuo, leggere la sua opera oggi significa interrogarsi, insieme a lui, se «sia possibile l’amicizia interraziale e interetnica in condizioni di disuguaglianza», poichè quell’eco rimbombante e l’oscurità nelle grotte sono anche un simbolo di impossibilità, difficoltà nell’incontro con l’altro. Nel XXI secolo il “diverso” è nuovamente confusione, la conoscenza è impedita da quel cannocchiale perso o rubato da qualcuno che vorrebbe, forse, vederci alienati e manipolati in un mondo perennemente diseguale. Il finale di Passaggio in India presenta «un non facile happy ending» con quel tentativo di riunione, di rinascita segnato dall’episodio della unione fra musulmani e indù, durante una festa religiosa; e c’è anche Aziz, assolto dal processo e di nuovo un incontro tra il medico e Fielding. Tuttavia ciò che realmente è successo a Adela non lo sapremo mai.

Un finale sospeso e pessimista: sospeso in un baratro, un immenso burrone che divide intere società; si combatte instancabilmente in condizioni di disuguaglianza. L’Occidente continua ad essere il burattinaio per alcune parti del mondo. In quel turbine di atrocità l’autore, iniziando il romanzo nel periodo post-bellico, sentiva, insieme al resto del mondo, «l’esigenza di ricostruire sé stesso, ritrovare dei valori che possano unire l’umanità». Per farlo utilizza l’arte in tutti i suoi straordinari aspetti, ora dovremmo auspicare alla stessa soluzione. Non sappiamo se Forster mentre scriveva Passaggio in India pensava di partorire un’opera d’arte, la quale potrebbe essere il nostro ponte dove il passaggio è arricchimento e crescita, un momento di incontro con l’altro per identificarsi e, insieme, abbattere il muro delle disuguaglianze sociali.

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