La dittatura dell’abitudine

Maria Cristina Mazzei

L’abitudine potrebbe essere definita come un abito, cucito in maniera sartoriale su ognuno di noi, di cui esistono diverse versioni che svolgono la medesima funzione: la creazione di comportamenti regolari.

L’agire di ogni uomo è governato dalla dittatura dell’abitudine e noi in fondo siamo quello che facciamo ripetutamente. Una sveglia che suona è pronta a scandire la giornata di ogni uomo e donna.

Ed è lo stesso giro ogni giorno: un giro standardizzato dove ogni tipo cambiamento è evitato, perché potrebbe mettere in crisi l’uomo facendo vacillare la propria razionalità. Nella critica sociale contemporanea che condanna la deriva spersonalizzante ed alienante della soggettività umana, l’abitudine perde la sua natura creativa per fluire nella dimensione ristagnante della società di massa, divenendo il mezzo steoreotipizzante con cui l’uomo a una dimensione diviene il prodotto di un’industria culturale,complice del potere al quale è convinto di opporsi.

Attorno a questa visione si sviluppa la lezione, svoltasi nei giorni scorsi, del filosofo Rino Genovese dal titolo: “Abitudine all’abitudine” frutto maturo, di una nuova teoria critica, che indaga la visione dinamica della costruzione della soggettività riscattandone la dinamicità dell’abitudine. Questo è uno dei cinque incontri del ciclo di seminari: “L’habitus della critica. Habitus e critica sociale”, dedicati al rapporto tra habitus e critica sociale. (https://dusic.unipr.it/it/notizie/lhabitus-della-critica-habitus-e-critica-sociale) Iniziativa organizzata dall’università di Parma -Dipartimento di Discipline Umanistiche, Sociali e delle Imprese Culturali- con il contributo di Fondazione per la critica sociale, si svolge nell’ambito delle attività del “Seminario di Filosofia politica e sociale-Seminario Pragmatista” e rientra tra l’attività formativa del Dottorato in Scienze filologico-letterarie, storico-filosofiche e artistiche coordinato da Italo Testa.

L’abitudine, come osserva Genovese citando Hume è senza dubbio un elemento importante nella formazione delle credenze quotidiane ma lo è ancor di più nella formazione delle idee e dunque nei processi cognitivi. L’uomo non conosce niente che non sia frutto dell’esperienza. Egli, tabula rasa entrando in contatto con la realtà, nel vedere per la prima volta un oggetto lo definisce con delle idee particolari. Ad un certo punto imparerà per abitudine a fare riferimento al concetto archetipico generale, che non ha alcuna esistenza. Le idee generali non sono nient’altro che dei concetti che noi utilizziamo per classificare le cose. L’abitudine tuttavia non deve essere considerata come pura ripetizioni di elementi identici ma come un organismo che trova nel suo mutamento un’abitudine stabile, in cui “tutto è solido ma variabile”.

 In questo discorso sui processi cognitivi Genovese radica la categoria riflessiva dell’abitudine all’abitudine. L’uomo attraverso la sua soggettiva corporeità fa diversa esperienza del mondo, che corrisponde all’enumerazione infinita di diversi punti di vista. Questa enumerazione infinita si traduce nel continuo mutamento della percezione della realtà e della mancanza di principi generali, riconducibili nello spazio e nel tempo ad ogni società e cultura. Nel processo cognitivo, il primum del cogito cartesiano (penso dunque sono) non è più la chiave della conoscenza, bensì l’uomo si muove nello schema della percezione tra pensieri a-cefali per poi modificarli successivamente in pensieri critici. Svincolarsi dall’abitudine è umanamente impensabile, ci si può stancare di un’abitudine, la si può abbandonare, per poi dopo sprofondare ripetutamente in un’altra.

Esiste dunque un modo, almeno temporaneo, per allontanarsi dall’abitudine?

Uno strumento distruttore dell’abitudine, dell’“umanamente possibile”, potrebbe essere l’arte, che distoglie l’uomo dalla realtà nel quale è immerso e lo proietta in una dimensione altra, dove l’umanamente possibile viene stravolto. Ricadendo tuttavia nel gioco della creazione di un’abitudine sovra-umana.

Una lezione necessaria per una riflessione sulla dimensione contemporanea della post-modernità che mette in luce, attraverso l’applicazione di nuove metodologie di ricerca, alcuni argomenti, di origine puramente filosofica, facendoli protagonisti dell’interazioni tra teorie tradizionali e nuovi orizzonti culturali, frutto di numerosi studi antropologico-sociali.

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