Dante, sommo…fotografo di luoghi

Clarissa Di Gregorio

Dante è non solo il padre della letteratura italiana, ma anche uno specialista della rappresentazione geografica realistica dei luoghi. A spiegarlo è stato Paolo Borsa -docente all’Université de Fribourg (Svizzera)- nell’incontro “Dante e le arti figurative”, tenuto il 23 gennaio alla Biblioteca Palatina. L’evento è inserito nel calendario di “Parma per Dante”, progetto organizzato dal Dusic dell’Università di Parma in occasione del settimo centenario della morte dell’autore.

Il genio dantesco fa infatti immaginare perfettamente al lettore gli ambienti descritti

nelle tre cantiche della Commedia, catapultandolo direttamente sulla scena. Alighieri ci presenta il suo viaggio come vero, fatto realmente. Ciò è reso possibile anche dal fatto che l’autore si appella alla concezione cosmica aristotelico-tolemaica, convinzione assoluta in quell’epoca. Tale visione afferma che la Terra è al centro dell’universo, ed è divisa in due emisferi: il boreale -in cui vi sono le terre emerse, e l’australe -in cui vi è solo acqua. L’Inferno si trova sotto la città di Gerusalemme, quindi sotto la superficie dell’emisfero boreale, mentre la montagna del Purgatorio si trova nell’emisfero australe. Fuori dal globo si trova il Paradiso, cui si accede passando per nove cieli. La sede dell’onnipotenza divina è l’Empireo, unico elemento cosmico ad essere immateriale.

La descrizione della Divina Commedia, che racconta realisticamente ogni luogo del viaggio dantesco, riesce a dare un’impressione di oggettività mai vista prima di quel tempo. Tanto che si è impossibilitati a immaginare gli ambienti diversi da come Dante li rappresenta[1]. Nel XIV canto dell’Inferno (vv. 115-120), ad esempio, si narra l’origine dei fiumi infernali -cioè Acheronte, Stige e Flegetonte.
«Lor corso in questa valle si diroccia:
fanno Acheronte, Stige e Flegetonta;
poi sen van giù per questa stretta doccia
infin, là ove più non si dismonta,
fanno Cocito; e qual sia quello stagno
tu lo vedrai, però qui non si conta»
.
Le lacrime che escono dalla statua del Veglio di Creta «Formano un corso d’acqua che scende nella voragine infernale: alimentano l’Acheronte, lo Stige e il Flegetonte; poi scendono ancora per questo stretto canale, fin là dove non si scende più (il fondo dell’Inferno) e dove formano Cocito; e cosa sia quel lago lo vedrai, quindi non ne parliamo qui».

Dante fa immergere completamente il lettore nella stessa sfera uditiva e visiva in cui egli stesso è immerso. Altro esempio della precisione, quasi maniacale, nel descrivere i luoghi che circondano l’autore è nel canto XXXIV dell’Inferno. Tanto che nei vv. 106-126 si può leggere di come il protagonista e il suo Maestro abbiano attraversato i due mondi aggrappati al corpo di Lucifero -compiendo di fatto una conversione di 180°.
Ed elli a me: «Tu imagini ancora
d’esser di là dal centro, ov’io mi presi
al pel del vermo reo che ’l mondo fóra.
Di là fosti cotanto quant’io scesi;
quand’io mi volsi, tu passasti ’l punto
al qual si traggon d’ogne parte i pesi.
E se’ or sotto l’emisperio giunto
ch’è contraposto a quel che la gran secca
coverchia, e sotto ’l cui colmo consunto
fu l’uom che nacque e visse sanza pecca:
tu hai i piedi in su picciola spera
che l’altra faccia fa de la Giudecca.
Qui è da man, quando di là è sera;
e questi, che ne fé scala col pelo,
fitto è ancora sì come prim’era.
Da questa parte cadde giù dal cielo;
e la terra, che pria di qua si sporse,
per paura di lui fé del mar velo,
e venne a l’emisperio nostro; e forse
per fuggir lui lasciò qui loco vòto
quella ch’appar di qua, e sù ricorse».

E lui a me: «Tu pensi ancora di essere al di là del centro della Terra, dove io mi sono aggrappato al pelo dell’orrendo animale che guasta il mondo. Tu sei stato di là finché io sono disceso; quando mi sono girato, tu hai oltrepassato il punto verso il quale tendono tutti i pesi del mondo. E ora sei giunto sotto l’emisfero (australe) che è opposto a quello (boreale) che copre le terre emerse, e dove, sotto il punto più alto dell’emisfero celeste (Gerusalemme), fu ucciso l’uomo (Gesù) che nacque e visse senza peccato: tu hai i piedi su una piccola sfera che ha la faccia opposta nella Giudecca. Qui è mattino, quando nell’altro emisfero è sera; e Lucifero, che col suo pelo ci ha fatto da scala, è confitto esattamente come lo era prima. Cadde giù dal cielo da questa parte e la terra, che prima emergeva dalle acque nell’emisfero australe, per paura di lui si nascose sotto il mare e venne nel nostro emisfero; e forse, per rifuggire da lui, quella che appare di qua lasciò questo spazio vuoto e riemerse nell’emisfero australe (formando il Purgatorio)». Per capire al meglio il passo bisogna fare una precisazione. Alighieri pensa ancora di essere nell’emisfero boreale -ovvero quello delle terre emerse. Virgilio tuttavia gli spiega che ora si trovano nell’emisfero australe -dominato dalle acque e dal Purgatorio. Hanno infatti oltrepassato il centro della Terra, il punto verso il quale tendono i pesi. Dante quindi poggia i piedi sull’altra faccia di una piccola sfera che costituisce la Giudecca: in quel punto è mattina quando nell’altro emisfero è sera, mentre Lucifero è sempre confitto nel ghiaccio come prima l’hanno visto. Virgilio chiarisce ancora che il demone precipitò giù dal cielo da questa parte e la terra si ritrasse per paura del contatto col mostro, raccogliendosi nell’emisfero boreale e formando il vuoto della voragine infernale, mentre in quello australe si formò la montagna del Purgatorio.

Alighieri tuttavia non si ferma qui. Durante la Divina Commedia, come tutti noi sappiamo, il poeta incontra vari personaggi. Questi vengono delineati puntualmente, così come accade per gli spazi fisici. Questo tratto è onnipresente in tutto il testo. Esemplare è la descrizione di Catone, presente nel Purgatorio al canto I (vv.31-39)
Vidi presso di me un veglio solo,
degno di tanta reverenza in vista,
che più non dee a padre alcun figliuolo.
Lunga la barba e di pel bianco mista
portava, a’ suoi capelli simigliante,
de’ quai cadeva al petto doppia lista.
Li raggi de le quattro luci sante
fregiavan sì la sua faccia di lume,
ch’i’ ’l vedea come ’l sol fosse davante.

Vidi accanto a me un vecchio solitario, che a guardarlo ispirava tanto rispetto quanto è quello che un figlio deve al proprio padre. Portava la barba lunga e con peli bianchi e neri, simile ai suoi capelli, dei quali ricadevano sul petto due lunghe ciocche. La luce delle quattro stelle sante illuminava il suo volto, al punto che io lo vedevo come se avesse avuto il sole di fronte.

La forza del testo è insita anche nel fatto che, come sopra anticipato, l’autore ha avuto l’accortezza di far riferimento a una concezione cosmica ritenuta ai tempi come l’unica veritiera. Tale peculiarità è evidente nel XXVII canto del Paradiso, dove Dante racconta il momento in cui dal cielo delle Stelle Fisse ha visto la Terra (vv. 79-84).
Da l’ora ch’io avea guardato prima
i’ vidi mosso me per tutto l’arco
che fa dal mezzo al fine il primo clima;
sì ch’io vedea di là da Gade il varco
folle d’Ulisse, e di qua presso il lito
nel qual si fece Europa dolce carco.
E più mi fora discoverto il sito
di questa aiuola; ma ’l sol procedea
sotto i mie’ piedi un segno e più partito.

Dal momento in cui avevo guardato la prima volta, compresi che mi ero mosso per tutto l’arco meridiano che va dal centro alla fine del primo clima (di novanta gradi); sicché io vedevo a occidente di Cadice il folle varco di Ulisse (l’oceano), al di là dello stretto di Gibilterra e a oriente la costa della Fenicia dove Europa cavalcò Giove tramutato in toro. E mi sarebbe stata mostrata una parte maggiore di questa aiuola (la Terra), ma il Sole procedeva sotto i miei piedi di oltre un segno zodiacale (più di trenta gradi, gettando l’ombra sulle altre regioni).

Il globo si pensava che comprendesse solamente l’Europa, l’Africa e l’Asia. La mappa orbis terrae, tipica del Medioevo, ci restituisce una riproduzione schematica molto semplice di tale visione. Essa raffigura il mar Mediterraneo a forma di T, il quale divide i tre continenti sopra citati. Il tutto è circondato da un grande oceano -Oceanum, appunto.

Si nota inoltre come nella cartina compaiano tre nomi: Sem, Jafet, Cam. Essi sono i figli di Noè, rappresentanti dei tre ceppi linguistici: Sem per l’Asia, Jafet per l’Europa e Cam per l’Africa. Tale tipologia di mappatura è una presentazione di convenienza del mondo, dato che si riteneva l’emisfero australe consistente solo di acqua -come sopra anticipato. Il genio dantesco, partendo da una conoscenza comune, è stato in grado di immaginare un aldilà talmente realistico da far percepire il viaggio compiuto come oggettivo. Ciò non solo ha provocato un’immersione totale di tutti noi negli scenari descritti, ma ha anche ispirato una moltitudine di mappe e illustrazioni. È l’esempio di Botticelli, che ci ha regalato la magnifica pianta dell’Inferno -risalente alla seconda metà del Quattrocento.

Essa è particolarmente fedele al testo. Vediamo infatti rappresentati i tre fiumi infernali, oltre al Cocito. Ma non è l’unico. La storia dell’arte ci insegna che c’è sempre stato un artista che ha tratto spunto dalla Divina Commedia per le proprie opere. Pensiamo a Michelangelo che nel Giudizio universale ha ripreso le figure dei dannati, degli esseri infernali e dei beati. O anche, spostandoci sulla linea temporale, a Füssli con il suo Paolo e Francesca sorpresi da Gianciotto -personaggi presenti nel V canto dell’Inferno. E ancora: Delacroix ha dato vita a La barca di Dante, il cui soggetto è esplicitamente desunto dal VIII canto della prima cantica dantesca. Ad esser raffigurati sono infatti Dante e Virgilio, i quali sono traghettati dal demonio Flegias al di là dello Stige fino all’infuocata città di Dite. Tra i geni artistici a cui è caro Dante vi è anche Doré, famoso per le sue 135 incisioni della Divina Commedia -oltre che per il quadro esposto al Salon del 1861: Dante e Virgilio nel nono girone dell’inferno.

La fortuna della Divina Commedia, e la relativa tradizione iconografica, continua anche per tutto il Novecento -arrivando fino ad oggi. Un esempio è Nattini, che illustra il testo in 100 Imagini -una per ogni canto- partendo dall’Inferno e procedendo in ordine di trama. Infine, possiamo ricordare anche la rivisitazione ad opera di Madè il quale, nel volume singolare La Divina Commedia -disegnata (consistente in 200 immagini), ha ambientato l’opera in Sicilia.


[1] Per sostenere tale tesi mi sono avvalsa di due fonti in particolare: per le citazioni dantesche ho consultato l’edizione curata da Giorgio Petrocchi (Mondadori, 1966-1967), per la parafrasi invece il sito https://divinacommedia.weebly.com.

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