Emozioni di carta – Di Carrisi e altre storie poliziesche

Il titolo più corretto per questa rubrica sarebbe “Cavalli di razza”, perchè Annamaria Cavalli è stata davvero una Prof. di razza, alla quale non solo si devono anni di lezione che hanno trasmesso a studenti e studentesse ma anche e soprattutto la stessa creazione del nostro Corso di Giornalismo e Cultura editoriale. Nel quale la doppia anima del corso universitario magistrale, lungi dal dare vita ad un “nè carne nè pesce”, costruisce per i nostri giovani (insieme alle materie sociologiche ecc,) un robusto bagaglio umanistico-divulgativo, validissimo sia per chi sogna un futuro da giornalista che per chi si vede domani in una casa editrice. Ora la prof. Cavalli è in pensione, e ogni tanto si concede su facebook delle riflessioni su questo o quel libro. Testi brevi, ma con la consueta competenza corredata da rigore e passione: quindi, in un colpo solo, una penellata su questo o quel libro e una bella lezione su come si possa tratteggiare lo spessore di una pubblicazione o di uno scrittore anche in poche righe. Così, noi di Parmasofia ci siamo permessi di “rubare” il suo post, ripromettendoci di farlo – se la Prof. Cavalli ce lo consentirà – anche in futuro. 😊

L’entusiasmo che mi ha suscitato Donato Carrisi col Suggeritore si è un po’ spento con la lettura di altri suoi romanzi.

Il meccanismo a incastro che là mi era parso perfetto l’ho ritrovato solo nella Casa delle voci. Gli altri due romanzi nella foto del post mi sono piaciuti di meno e mi sono sembrati più artificiosi e più lenti, specialmente L’uomo del labirinto, da cui pare sarà tratto in film, presenta un finale colpo di scena strano, poco credibile, che lascia in sospeso troppi fili.Il lettore è in genere disponibile ad accettare il meccanismo di sospensione dell’incredulità appena apre le pagine di un romanzo, in particolare quando di tratta di favole o fantascienza. Quando invece di tratta di narrativa realistica, quand’anche e forse soprattutto poliziesca, pretende che il naturale artificio della scrittura risponda comunque a criteri di verisimiglianza e razionalità. Se rimangono domande in sospeso, un meccanismo apparentemente perfetto rischia di incrinarsi.

Meglio comunque Carrisi che De Giovanni, che fa vedere i morti al suo commissario Ricciardi. Inizialmente si può anche accettare questa stranezza, compensata dall’accuratezza della rappresentazione psicologica dei personaggi e dall’abile costruzione dell’intreccio, ma se poi il personaggio diventa seriale, l’artificio diventa stucchevole e finisce per stancare. Meglio il realismo duro dei Bastardi di Pizzo Falcone.

Altre vie tentate mi sono meno piaciute, come la mini saga di Sara o quella di Mina Settembre, quest’ultima specialmente nella trasposizione televisiva di una banalità sconcertante.

Annamaria Cavalli

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