Il ritorno alla normalità. Ma quale?

Gaia Cammarota

Si parla di un ritorno alla normalità, ma la normalità è stata la crisi, così tuona la giornalista canadese Naomi Klein. Dopo il covid niente sarà più come prima: un domani all’insegna della connettività, dove le nostre case non saranno più semplici ripari personali ma ambienti digitali che

comunicano ad alta velocità, dove tutto sarà gestito da intelligenze artificiali e tenuto assieme da decine di milioni di utenti che freneticamente condividono, chattano e si taggano, insieme a lavoratori anonimi e sotto pagati ammassati in uffici per moderare i contenuti. Un futuro fatto di app che consegnano a domicilio, un futuro che non accetterà contanti ma carte di credito, un futuro nel quale ogni nostra mossa, parola e azione sarà rintracciabile grazie a una colossale organizzazione tra governi e le grandi tecnologie; come ad esempio il patto stipulato tra il governo australiano e il colosso Amazon per archiviare nel suo cloud i dati di tracciamento del covid19.

Nella vita di prima, che ormai sembra lontanissima, eravamo preoccupati per come i dati sulla geolocalizzazione e il commercio senza contanti intaccavano la nostra privacy e rafforzavano la discriminazione razziale e di genere, ci allarmavamo per come le grandi piattaforme e social media potessero andare a contaminare la mente dei nostri figli e nipoti, ripensavamo agli ottimi posti di lavoro che la tecnologia ha spazzato via e soprattutto a una ricchezza sempre più elitaria, dando il potere in mano a persone prive di scrupoli. Oggi molte di queste preoccupazioni sono state scacciate dall’inevitabile ondata di panico che la pandemia ha portato, ma queste quotidiane preoccupazioni ritorneranno? Abbiamo vissuto dei contesti strazianti su diversi fronti e in tutto ciò si è riproposta con dubbia certezza la tecnologia, l’unica via possibile per salvaguardare noi e nostri cari. Un nuovo Screen New Deal si è forgiato e si sta formando in questi mesi, metaforicamente un futuro 5G caratterizzato dalla rapidità e dal distacco; ci si deve dunque arrendere e accettare indifferentemente la tecnologia? Assolutamente no, come afferma anche la giornalista canadese, la speranza rimane e viene alimentata dalla mancanza di affetto che la gente prova l’uno per l’altro, dal relazionarsi faccia a faccia, da un abbraccio che accompagna un’azione, perché è proprio nei momenti di crisi che ci si può muovere per formare la società che si vuole. Attraverso uno degli aspetti più tristi della pandemia, ossia la mancanza dell’altro, scopriamo quanto quest’ultimo sia importante e necessario per rifiorire più belli e forti di prima, convinti del fatto che la normalità non sarà più quella pre-Covid.

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